Le fette biscottate fatte in casa, mica cazzi

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Belli i miei scarrafoni…

 

Ovvero: La Tandi chiama, le Intolleranti rispondono.

Avevo vagamente promesso la ricetta delle fette biscottate fatte in casa che ho sperimentato prima di Natale (siamo ancora a gennaio, quindi mi sembra di essere perfettamente in linea con le mie consuete tempistiche). L’altro giorno la Tandi butta lì un post in cui dice che in terra d’Albione non trova le fette biscottate. Il mio senso di colpa catto-comunista ha fatto quella faccia da signorina Rottermeier e detto: “Be’? Che aspetti? Da quanto tempo è che devi pubblicare?”. E quindi niente, eccoci qui.

Premesso che non sono un’abile impastatrice (faccio il pane senza impasto, questo dice tutto), non riesco a far sopravvivere le piante grasse, figuriamoci della pasta madre e che quei virtuosismi tipo le crostate con il reticolo bellino e preciso li lascio a chi è più paziente di me, queste fette biscottate sono venute bene al primo colpo. Quindi, se avete in mente che sia uno sbattimento da pasticceri nazi o da chef bellocci, scordatevelo. Ci sono riuscita io, ci potete riuscire anche voi, se vi applicate un filo.

Quindi, come avrete capito, mica me le sono inventate. Di mio non ci ho messo un briciolo di elaborazione concettuale. E di tutte le ricette trovate su internet, per non sbagliare, sono andate da una delle migliori in circolazione quando si tratta di mani in pasta: Anice&Cannella. Però, che cavolo, le ho fatte! E sono venute buone! Questo post, scritto come piace a noi Intolleranti, serve a incoraggiare voi tutti grumi di intolleranza là fuori: c’è speranza per le vostre colazioni. Mal che vada, i supermercati chiudono tardi ormai e di bar è piena l’Italia.

Cosa vi serve

500 g di farina 0 (mi sa che ho usato la 00 e ha funzionato lo stesso)

75 g di zucchero (lei usa quello bianco, io uno semi lavorato)

5 g di sale

un cubetto di lievito di birra fresco (25 g)

225 g di acqua

1 albume

4 cucchiai di olio di semi (per favore, decente!)

1 cucchiaino colmo di malto d’orzo

(parliamone: ho usato questo, perché nella ricetta non è specificato se fosse in polvere o se fosse il dolcificante e la negoziante mi ha suggerito l’estratto, alla modica cifra di 4 euro per 250 g. Ora che ci penso, probabilmente era il dolcificante, tipo questo. Comunque non ha fatto enorme differenza. A parte il prezzo)

Per spennellare
1 tuorlo
3 cucchiai di latte (animale o vegetale)

Come si fa

Respirate profondamente. Pronti? Ok.

Sciogliete il cubetto di lievito nell’acqua a temperatura ambiente insieme al malto e lasciate riposare 5 minuti.

Impastate tutti gli altri ingredienti, tranne il sale: dovete ottenere un impasto mediamente morbido ma, a meno che non stiate lavorando nel deserto in estate, le dosi degli ingredienti dovrebbero dare il risultato desiderato.

A questo punto, avrete fatto in modo che tutti gli ingredienti siano amalgamati, cioè non ci sono grumi di farina asciutta in fondo alla ciotola o acqua che copre l’impasto. Bene, siete bravi, vi meritate uno zuccherino. Dopo però.

Ora occorre aggiungere il sale, che è proprio poco, un cucchiaino da caffè. Rimettetevi a impastare per tonificare quelle braccia rammollite o usate una pratica planetaria e andate a lustrare l’argenteria per i prossimi 20 minuti. Il risultato deve essere bello elastico.

Ora tornate a farvi i fatti vostri per altri 30 minuti, dopo aver lasciato l’impasto coperto da una pellicola sul tavolo della cucina. Mettete una sveglia, altrimenti ve lo scordate, fidatevi.

Riprendete il vostro impasto bello gonfio e dividetelo in tre pezzi della stessa misura. Sì, si sgonfierà. E’ giusto così, non temete. Fate tre palle, dategli una forma carina, con la superficie bella tesa, e rimettetele sul tavolo della cucina – stavolta senza coprirle – per altri 10/15 minuti.

Riprendete le vostre pallotte e schiacciatele. Sì, avete letto bene. Non ditemi “Ma come, erano tutte belle cicciose, ho dovuto aspettare che lievitassero e ora me le fai schiacciare?” perché tanto non c’è alternativa. Si fa così, impasta, attendi e dai la forma. Fatevene una ragione.

Insomma, dicevamo, avete steso la pallotta come se fosse una pizza. Bene. Adesso arrotolatela su sé stessa, stringendo bene bene. Vi verrà una specie di girella lunga. Ora premete per sigillare il bordo affinché non si apra in cottura e posizionate questa giuntura nella parte inferiore del filone che si è formato. Fate lo stesso con le altre due pallotte.

Mettete i filoni o sulla carta forno o dentro stampi da plumcake unti (con burro o olio, ma non ti un pasto precedente, zozzoni). Prendete il tuorlo e il latte prescelto e sbatteteli, dopodiché spennellate i vostri bei filoni con questa miscela, così, quando saranno cotti, saranno belli lucidi e dorati. Non buttate la miscela, vi servirà ancora!

Ora, visto che vogliamo delle fette biscottate fantastiche, ci prendiamo un’altra pausa. Lasciamo lievitare i filoni ancora un’ora, tenendoli in un luogo medio caldo. Paola di Anice&Cannella dice che la temperatura dovrebbe essere sui 28°C. Ora, in casa mia ce ne sono 20. A meno che sia estate, suggerisco di riscaldare leggermente il forno fino a 50°C, spegnerlo e infilarci dentro i filoni lasciando lo sportello aperto. L’importante, comunque, è che durante la lievitazione l’impasto non prenda correnti d’aria. Che mi è delicato.

Tirate fuori i tre impasti, riprendete la miscela di uovo e latte e rispennellate i filoni. Accendete il forno, fatelo arrivare a 200°C e infilateci dentro (finalmente!) i filoni. Dopo 30 minuti di cottura, se la superficie è bella colorita, coprite con la carta forno e abbassate la temperatura a 180°C. Fate cuocere ancora 15 minuti (bravi, in totale sono 45 minuti).

Estraete dal forno e fate raffreddare su una gratella.

Allora, a questo punto è bene dire una cosa. Se volete, in questo momento avete in mano tre simil-panbrioche super morbidi e fragranti. Potete ritenervi soddisfatti e prendervi lo zuccherino che vi spetta. Inzupperete il pane nel latte, lo cospargerete di marmellata, lo farcirete di prosciutto crudo, rucola e senape – perché siete dei viziosi. Lo taglierete a fette e lo surgelerete, perché siete furbetti e previdenti.

Pagnotte briosciose e un po' stortine

Pagnotte briosciose e un po’ stortine

Oppure.

Oppure ne farete le fette biscottate che anelate dal primo momento che avete messo gli occhi sul titolo elegante di questo post. Resisterete e avrete la soddisfazione che meritate. Ecco cosa dovrete fare.

Prendete i vostri bei filoni e copriteli con un telo di cotone, uno strofinaccio (pulito, bestiacce), qualcosa insomma. Lasciateli per almeno 18/24 ore a temperatura ambiente, circa 18°C/20°C o, comunque, nel luogo più fresco della casa. Dimenticatevene (ma segnatevi un promemoria, altrimenti ciao).

Ciao intolleranti, come avete trascorso questa giornata? Siete pronti a riprendere in mano la faccenda fette biscottate? Bene.

Se volete, a questo punto potete limare le rotondità dei filoni per dargli la forma classica delle fette biscottate. Io, ovviamente, me ne sono fregata. Affettate i filoni a uno spessore di 8 mm (vabbè, dai, un centimetro va bene uguale), premurandovi di accendere il forno a 150°C/180°C (dipende dal tipo di forno che avete, cominciate con meno e in caso alzate). Infilate le fette biscottate ben distese su una teglia e fatele tostare per circa 50/60 minuti. Oltre a dover colorire, devono soprattutto asciugarsi benissimo.

Fate raffreddare le fette tostate in forno semiaperto e, una volta fredde, potete chiuderle in sacchetti per alimenti o in scatole di latta.

A questo punto vi chiederete: ma con tutto ‘sto lavoro, il costo dei materiali e il consumo di corrente elettrica, mi conviene farlo? La risposta è: che diavolo volete che ne sappia io? Non stilerò una lista dei pro e dei contro perché già ci ho messo un mese per scrivere questo post. Vi dico solo che questo impasto, brioscioso o tostato che sia, sa di autocompiacimento. E noi Intolleranti ci sguazziamo.

Bratinez

citazioni accidentali: #12 guido gozzano

La cara Wellen pubblica Gozzano che parla di signore e signorine “che mangiano le paste nelle confetterie”.
Per rinfrescar lo spirito, tra un dolce e un altro, una poesia che sembra ritrarre me e la Caccivia quando ci incontriamo per il tè.

wellentheorie

A me Guido Gozzano mi è sempre stato simpatico, perché in una metrica meticolosa e (quasi sempre) tradizionale scrive però di temi e usa parole che nelle poesie classiche è difficile incontrare.

Questa poesia qua, pubblicata per la prima volta nel 1907, l’ho scoperta per caso: parla di “dita confetturate”, “cioccolatte”, “superliquefatte / parole del D’Annunzio”. Parla di donne (e di paste), ne osserva le piccole differenze, le contempla, ne descrive movimenti potenzialmente allusivi, parla di bellezza, di piacere e di desiderio in un modo tutto suo.

GUIDO GOZZANO a tavola716463-2©Archivio Publifoto/Olycom

Le golose

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta o forma.

L’una, pur…

View original post 210 altre parole

torta di cioccolato ineterea – ovvero la morte del vegano

Amici Intolleranti,
visto che sono passate le feste e noi ce ne siamo bellamente fottute, ho pensato che per la vostra dieta di gennaio potete cominciare con la torta di cioccolato ineterea che la Spersa ha pubblicato oggi, in stile decisamente Intollerante.
Poi torniamo pure noi, eh, che ho fatto le fette biscottate in casa e vi devo spiegare come sono uno sbattimento assurdo, ma meritano parecchio.
Ciao cicci,
Bratinez

Biscotti alle mandorle (ritorno in gran spolvero con ricetta simil-natalizia)

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Glicemia portami via

 

Uè, gente intollerante!

So che non aspettavate altro da diversi mesi e quindi, rieccoci qui.

Come dite? Nessuno ha chiesto di noi? Ehm…

ahobird

Vabbè, insomma, le Intolleranti hanno avuto un’annata un po’ complicata, che ci ha tenuto lontano dai fornelli con ricette degne di questo nome e, soprattutto, da questo ameno luogo di intrattenimento culinario, fastidio e odio d’oliva.

Ma, complice la fine dell’anno, i sentimenti natalizi (e con ‘sentimenti natalizi’ intendo la cena del 24 e il pranzo del 25 che tornano prepotenti nei sogni di quest’Intollerante come un miraggio nel brumoso dicembre lombardo) e un’impellente necessità di ridurre le spese di casa e di fare i conti con l’intolleranza ai latticini tutti, la sottoscritta ha deciso che tutti i suoi sforzi di autoproduzione alimentare dovessero ritrovare uno sfogo in questo blog di cucina acida e scorbutica.

Ok, adesso vi posto una ricetta di biscotti alle mandorle, ma non è che mi sia addolcita, eh. Non è perché è Natale. Forse è perché al 18 di dicembre fate ancora in tempo a preparare questi biscotti che durano un po’ e a regalarli ai pochissimi che se li meritano. Forse è perché non contengono nulla che venga dalle tette di qualche mucca o capra o pecora o asina o femmina di mammifero in genere (spero che nessuno di voi utilizzi latte di altri animali che non siano quelli citati, altrimenti andatevene di qui, subito!).

E’ perché SO BBONI. Uno tira l’altro e tanto è Natale e che vi frega, ci penserete a gennaio ai sensi di colpa. E poi non è affar mio fare i conti con le vostre coscienze e i vostri rotoli di benessere, siete maggiorenni e vaccinati. Io vi do tutto il buono della Sicilia in un biscotto, c’è da baciarsi i gomiti, come diciamo noi polentoni.

Dai, su, ora basta convenevoli, in cucina.

Cosa vi serve

500 g di farina di mandorle (che potete autoprodurvi tritando a “scatti”, cioè non in una volta sola, delle mandorle sbucciate)

400 g di zucchero bianco semolato, più un po’ per decorare

4 albumi

1 bacca di vaniglia (o un cucchiaino di estratto, se avete quello)

la buccia di 1 limone non trattato, grattugiata

un cucchiaino da caffè di cannella in polvere

3 gocce di essenza di mandorla amara

Per decorare

Mandorle sbucciate e/o ciliegie candite

Come si fa

Prendete tutti gli ingredienti, tranne quelli per decorare, e sbatteteli in una ciotola. Ok, no: la bacca di vaniglia intera va tagliata per il lungo e poi dovete far scorrere la lama del coltello all’interno per raccogliere i semini, che sbatterete nella ciotola di cui sopra.

Con un cucchiaio cominciate a mescolare e dateci di olio di gomito – che non è un ingrediente ulteriore.

Quando il tutto è ben amalgamato e uniforme, mettete la pellicola sulla vostra ciotola e infilate in frigo.

Andate a dormire o a lavorare.

Passate infatti 10 ore dalla messa in frigo, riprendete il vostro amalgama mandorloso e zuccheroso e fate delle palline grosse come noci.

Col vostro bel pollicione schiacciate al centro della pallina fino a formare una conca, dove inserirete una mandorla intera o una ciliegia candita.

Spolverate con ancora un po’ di zucchero (sia mai che abbiate un calo) e mettete in una teglia foderata di carta forno.

Riscaldate il forno a 150°C e infilateci i biscottini, lasciandoceli dentro per 10 minuti: attenzione, i forni sono esseri capricciosi e ognuno riscalda e cuoce in maniera diversa. Controllate i dolcetti e non fateli carbonizzare.

Se, passati i dieci minuti, sono ancora un po’ bianchi come la sottoscritta a Ferragosto, passate alla funzione grill per non più di 5 minuti, in modo da farli dorare come si deve.

Sfornateli e lasciateli raffreddare prima di addent… ho detto di aspettare! E che cavolo! Ti sei scottato la lingua? Ma dai?

Mai una volta che mi diano rett… ahi, la lingua! Mannaggiammé…

Bratinez

Cose che ho mangiato negli ultimi mesi e nuove intolleranze

Ciao,

sono un’Intollerante, vi ricordate di me? Sì, ecco, abbiamo un po’ il sedere pesante e ultimamente non abbiamo dato proprio il massimo di noi stesse per questo blog. Abbiate pazienza: andrete in paradiso. A differenza nostra.

C’è anche da dire che noi Intolleranti siamo anche state un po’ sfigate, gastronomicamente parlando, di recente. La Cacci mi si è gastritizzata e io sono risultata intollerante a una nuova serie di cose all’ultimo controllo.

I latticini, ok, lo sapevo. … No, no, signorina, non il lattosio, i latticini. Quindi si scorda anche l’Accadì, lo Zymil e tutti gli altri surrogati di cui ha usufruito finora.

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E poi peperoni, noci e nocciole, cavoli vari (ma che ci frega, è estate).

E poi…

POMODORI e OLIO D’OLIVA.

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Ok. E’ solo per un mese. Ce la posso fare. Basta non andare in panico. Ce la posso fare.

Dicevamo? Ah, sì, il titolo. Cose che ho mangiato negli ultimi mesi. Di seguito un elenco incompleto (perché altrimenti ora sarei anoressica e … ahahahah! Scusate) di roba provata, sperimentata, assaggiata, buttata nel secchio della rüera (spazzatura, NdT).

Enjoy.

1) Aceto balsamico di fico e olio di semi di zucca

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La Cacci è tanto una brava persona e una buona amica con doti di preveggenza. Infatti per Natale mi regalò queste meravigliose boccette, comprate in un negozio dove vendono roba sfusa (Cacci, se ci vuoi dare l’indirizzo, tutti i nostri miliardi di lettori e io te ne saremmo grati).

L’aceto balsamico di fico è, per fare dell’umorismo, una ficata. E’ buonissimo, dolce, cremoso, l’ho messo praticamente dappertutto, tranne che nel caffelatte, che tanto non posso più bere, mannaggiamme.

Olio di semi di zucca è strano, perché (guarda un po’?) sa tantissimo di zucca e quindi è molto meno versatile dell’aceto di cui sopra. Le doti di preveggenza della Cacci, però, ne hanno fatto un’ancora di salvezza quando mi hanno detto che avrei dovuto evitare come la peste l’olio d’oliva (sigh! sob!). Dà un aroma tostato particolarmente piacevole alle insalate nude e crude. Da provare.

2) Le radici di Mairano

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Premessa: mi piacciono le robe amare. Parecchio.

Detto questo, queste radici sono la cosa più amara che abbia assaggiato in vita mia e, vi giuro, non sono riuscita a finirle. Le ho bollite, le ho frullate, ci ho aggiunto della scorza di limone per rendere il gusto più fresco, le ho saltate in padella, le ho combinate alle patate per una vellutata (e per mitigarne l’amaro). Niente, nada, nisba. A parer mio, immangiabili. Rinuncio volentieri a una “dolce salute naturale”, grazie. Se però siete dei fan del fiele, potrebbe essere la vostra verdura invernale preferita.

3) Linguine limone e pepe e bottarga di muggine 

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Prossimamente un post con una ricetta che combina questi due elementi, comprati un sacco di tempo fa e mangiati altrettanto tempo fa. Le linguine sono state acquistate da Effecorta, mentre la bottarga è stata scoperta ad uno stand di Milano Golosa.

Le linguine non sono male, anche se non si sentono così tanto come speravo il limone e il pepe, mentre la bottarga è davvero eccellente. State sintonizzati per la ricetta!

4) Daikon

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Il daikon è una rapa giapponese che si trova facilmente all’Esselunga. Sa di fresco, essenzialmente. Pulisce la bocca da tutto ciò che è grasso, è croccante e fa la sua porca figura sia in insalate che nelle zuppe. Abbiate solo cura di lasciarlo, una volta pelato e affettato, per un po’ cosparso di sale, così dovrebbe (?) essere più digeribile.

5) Confetture varie (mango, cioccopera, castagne, nespole e peperoni rossi)

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Da piccola detestavo le marmellate/confetture, ora ne sono una consumatrice difficile, che le vuole strane e possibilmente bio. Che ci volete fare, sono una rompipalle.

La confettura di mango del commercio equo (Altromercato) è una roba esotica che fa inorridire l’ambientalista che è in me (mangia locale!). Detto questo, siamo creature imperfette e non si può vivere di sola Brianza (thank God): ci si prova, ma ogni tanto ci si può ribellare alle regole autoimposte, che la coerenza è tanto bella, basta che non diventi un’abitudine.

Ma torniamo cialtroni.

La confettura di mango mi piace assai, è meno mangosa di quanto mi aspettassi, ma comunque esotica, con un gusto medio tropicale che magari è quello vero del mango che si mangia in Kenya ma che io non conosco perché non ci sono mai stata. Provatela e sappiatemi dire.

Rob del Bosco Scuro è una società agricola mantovana. Avevo già visto i loro prodotti in precedenza, ma non avevo avuto occasione di provarli. Poi sono andata a fare un giro a “Fa’ la cosa giusta!” (sì, ok, era marzo) e li ho conosciuti di persona. A parte che sono delle persone carine e simpatiche, con le marmellate mi hanno anche regalato l’assaggio della confettura Cioccopera che, benché io non sia un’amante delle pere (… vi lascio il tempo di fare la battuta), ho trovato semplicemente divina. Forse ci avrei aggiunto un po’ più di cioccolato, ma solo perché sono senza vergogna.

La confettura extra di castagne è la mia preferita, che sa di castagne per sul serio, mica di zucchero aromatizzato. Quella di nespole è strana, ma piacevole e, soprattutto, non allappa la lingua come temevo (che a me le nespole fanno sempre un po’ senso, tipo che mi ritrovo con la faccia di Suppaman quando mangia un umeboshi).

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La confettura di peperoni che vedete in foto, ahimè, non l’ho ancora provata, per la storia delle intolleranze. Ma sono certa che sarà una goduria. Vi terrò informati, che so che non state nella pelle.

Ecco, questo è tutto, per il momento.

Promettiamo di tornare con nuove mirabolanti ricette molto presto, vero Cacci? 🙂

Bratinez